SOLITUDINI INTERCONNESSE E IL TERRORE SENZA NOME
Vissuti emotivi evocabili nelle vittime del web, dalla paura al terrore.
Ho scelto un titolo “forte” per introdurre una prima riflessione su alcune parole e sul loro significato, parole che userò spesso nei miei interventi come paura, ansia, angoscia, terrore, parole che hanno senso e contenuto diversi e che credo sia meglio descrivere, per poi lasciarceli alle spalle ed entrare
“nel vivo” delle storie e della loro cronaca. Ma sapendo bene di ciò di cui si parla.
E mentre leggete, provate a chiedervi se vi ritrovate in un punto del nostro racconto, se qualcosa di ciò di cui si parla l’avete vissuto, o lo state vivendo, perché “siete caduti” in una trappola creata dal web… e questa, anche se per un poco, vi ha cambiato la vita.
Ho paura di ciò che so essere un pericolo. Risalendo alla radice del suo significato, si richiama al latino “pavor” a sua volta ricollegabile all’indoeuropeo “pat-“, cioè percuoto, opprimo, abbatto, calpesto (da cui “pavimento”). Mentre pànico che può sembrare simile nel suo “suono”, ha un’origine del tutto
diversa, richiamandosi al terrore suscitato da un dio, metà uomo e metà caprone, il dio Pan, che aggirandosi deforme nei boschi, atterriva le ninfe o i viandanti con la sua irruente imprevedibilità. Il panico è quindi il non-controllo che suscita il terrore.
La paura può essere invece una difesa, mi mette in guardia da qualcosa che mi può danneggiare. Con la paura la frequenza del mio respiro aumenta, catturo più ossigeno per prepararmi ad una possibile fuga, la bocca diventa secca, il battito cardiaco aumenta, i muscoli diventano tesi, sudo… il corpo si sta preparando a una reazione rapida. Il pericolo è chiaro, determinato, “ha un nome”. Gli animali hanno paura. Vivono ciò che vedono e sentono. Non fanno previsioni. Vivono la concretezza del presente. E anche l’essere umano, nella sua componente più antica, arcaica, vive la paura allo stesso modo. Se ha paura è perché ha paura “di qualcosa”. Chi ha paura può evitare il pericolo oppure decidere di accettarlo, andando oltre la sua paura. Se con la paura mi ritraggo e scappo, o mi paralizzo, nel caso in cui reagisca opponendomi e non ritraendomi, può subentrare la rabbia, che può manifestarsi come reazione iniziale o subentrare a una condizione di paura: in questo caso so di avere ragione, non sono soverchiato dal pericolo, mi oppongo e attacco, esprimendo anche fisicamente questo stato d’animo, contraggo le sopracciglia, mi sporgo in avanti, metto in tensione i miei muscoli, non più bloccati come nella paura, ma tesi e pronti allo scatto.
Strettamente connesso con la paura è, poi, il timore. Mi trovo di fronte a un evento non inaspettato, ma atteso, eppure qualcosa accade che può incrinare questa certezza. Si delinea la possibilità che non accada. Ma vivo nell’attesa fra ciò che può essere la speranza di non soffrire e ciò che invece mi potrà dare sofferenza. Basta poco.
Ho un appuntamento di lavoro, importante. Non ho l’auto e vado in anticipo alla fermata dell’autobus che non uso quasi mai. Ma non arriva. Ho paura di perdere il mio lavoro perché so con certezza che il ritardo verrà mal giudicato. Inizio ad avere qualche dubbio, qualche domanda si presenta alla mia mente. Ecco… l’autobus è in ritardo. Ho bruciato il mio anticipo e sto “cadendo nel fallimento”… So che passerà ma incomincio a temere per il mio appuntamento. I minuti passano… il timore aumenta… Aumenta il mio senso di frustrazione. Cosa fare? Continuo ad attendere o cerco soluzioni alternative? Ma quali? Non avevo messo in conto di prendere un taxi e non ho molti soldi con me. Rinuncio? Chiamo l’ufficio personale e mi giustifico? Continuo ad attendere e vedo come vanno avanti le cose? Ora la speranza di una soluzione o il pericolo di un fallimento sono “alla pari”. La lancetta del tempo scorre inesorabile… Ed è a questo punto che subentra l’ansia.
Ora, parole come angusto, angina, agonia, angoscia ma anche ansia, sono termini comuni che, a un orecchio attento, possono avere una risonanza simile. e la ragione c’è. Tutti derivano da una radice indo-europea comune “agh” e “angh”, da cui il greco “ancho” o “àchos”, il latino “anguis” o “àngere” o “angor” e poi, più attuali, il tedesco “angst” e l’inglese “ache”. In tutti questi casi l’origine comune è nell’essere “stretto”, nello “stringere” e, quindi, nel “soffocare”. Per chi poi si chiedesse se l’assonanza coinvolga la più tranquillizzante anguilla, ebbene, avrebbe ragione. Sempre dal greco il serpente è colui che stringe, che strangola, come “echis”, la vipera l’“egchelis” l’anguilla.
Di per sé la paura non crea ansia. L’ansia nasconde qualcosa di più sottile, l’ansia nasce dalla previsione di un qualcosa che può essere un pericolo, ma può anche o ancora non esserlo. L’ansia è attesa di un qualcosa che al momento non c’è ma che sta concretizzandosi. Ma un briciolo di speranza
ancora ce l’ho.
Mentre il tempo passa mi viene in mente che un altro candidato ha un’auto. Sarà già prossimo ad arrivare. Ecco, mi sento in trappola. Mi prende come una specie di smania di fuga. Tutto intorno il mondo si schiaccia su di me. Il respiro si blocca, mi sento soffocare. I miei pensieri sono caotici, sconvolti. Sudo; mi sento tremare; ho la nausea, provo dolore al petto, lo stomaco mi si chiude; mi sento sbandare. Se non passo il colloquio perché non mi presento, non troverò lavoro. Non pagherò le spese di casa. Il mutuo. L’auto comprata a rate… Subentra il panico. Se mi va bene madre natura mi può aiutare. Di fronte al senso di soffocamento il cervello riattiva la respirazione in modo tale da superare il problema, ritorna l’ossigeno, il cuore riprende a battere in modo regolare, e il panico tende a svanire. In caso contrario l’attacco di panico si concretizza in una perdita del controllo, mi sembra di impazzire. Se questa condizione persiste e si aggrava può creare un’ulteriore sensazione, il terrore.
Il terrore paralizza, pietrifica. La persona è come in stato di shock, il senso di impotenza è totale, la percezione del sé si attenua sino a scomparire, si è “come morti”, quasi agonizzanti. Il manipolatore che può agire su base collettiva (terrorismo) o individuale, è un grande manipolatore che utilizza tutte le strategie utili a destabilizzare e destrutturare la sua vittima. L’unica difesa è potenziare le proprie sicurezze. Ma ciò ha un costo, di tempo e di danaro. Intanto la vittima si sente in balìa del terrorista. Sempre sotto un potenziale attacco. Se l’atto di indurre terrore è individuale, il plagiatore-predatore agisce sulla mente della sua vittima (e questo accade specialmente nei meccanismi di “trappola sessuale”, di cui una forma nota sul web è il c.d. “Sextortion”) attirandola con segnali ambivalenti, lusingandola con iniziali apprezzamenti, condivisioni, complimenti, generando aspettative, confondendola ed aumentandone il controllo attraverso una pratica nota come lo “spargere le briciole (breadcrumbing)” per poi negarsi, abbandonando la vittima che si sente rifiutata, delusa, frustrata, annientata, “morta”, non in grado di tessere relazioni diverse perché assoggettata al predatore-aguzzino, che ad un tratto ricompare improvvisamente con una proposta diventata ormai irrinunciabile, cioè un incontro diretto. Salvo poi scomparire per sempre. Quando il terrore non origina da eventi specifici, da pericoli individuabili, quando la paura non ha un nome, quando l’ansia non ha a che vedere con un “qualcosa” ciò che proverò sarà qualcosa di estremamente profondo, sarà l’angoscia. A differenza dell’ansia, dove prevale la componente psicologica, nell’angoscia prevale quella fisica, il soffocamento, la costrizione. L’angoscia sono io bendato su una strada che non conosco, in un bosco popolato da rumori, soffi, ostacoli, possibili buche in cui potrei cadere, animali che potrebbero attaccarmi. A differenza della paura, e dell’ansia, che sono “attive” nel loro compiersi e in qualche modo “esterne” a chi le vive, l’angoscia è parte profonda dell’essere, non è controllabile perché si sostituisce a ogni valutazione razionale. Comanda lei. È la certificazione di una non soluzione a fronte di una situazione vissuta. Sono impotente. Ma sono anche cosciente di questa mia impotenza. L’angoscia non mi può vedere vincitore. Sia che mi ponga di fronte a una minaccia della propria identità personale (angoscia persecutoria o paranoide), sia a una separazione, perdita o minaccia di qualcosa che per me è diventato oggetto di amore (angoscia depressiva). Vince comunque sempre lei e sempre sono sconfitto. Di fatto l’angoscia è anch’essa un sentimento primigenio, ma del tutto umano. Un essere umano sa che è di fatto un punto lanciato nel fluire dell’immenso dei possibili. Vivendo giorno per giorno, passo per passo, non se ne rende conto. Ma se si eleva un poco e guarda il cielo stellato, se si trova solo in un luogo oscuro, se percepisce se stesso nel suo essere pedina su una scacchiera di infiniti possibili, può percepire il suo “essere” come non più sorretto da nessuna consistenza percepibile, finendo con il fluire nelle braccia di un paradossale “essere-non-essere” e, in fine, del niente. L’angoscia è cioè strettamente legata al mio essere e nello stesso tempo al suo ignoto divenire. Mette in crisi le condizioni necessarie allo sviluppo di un proprio senso identità stabile. E da qui il legame profondo con la nostra Vita, e con la Morte. L’angoscia è il sentimento che prelude all’intuizione della morte. E non c’è nulla più che la morte ad essere generatrice di angoscia, perché è un punto interrogativo nel buio assoluto, è l’annichilimento del mio essere esistente. Qualsiasi cosa vogliamo pensare, l’eternità, la trasformazione, il “passare oltre” è un qualcosa a cui decidiamo di credere. Non ha prove, certezze, testimonianze. Per i cinque lettori che avessero avuto la pazienza e il coraggio di giungere sino a questa conclusione potrà essere chiaro comprendere ora meglio quali siano i sentimenti che un attacco informatico alla propria sfera personale possa generare uno o più dei sentimenti citati, dalla semplice paura, quando si è ancora nel possibile, all’angoscia quando l’evento si è verificato, non è controllabile né focalizzabile in un suo “luogo” di origine. Con termine improprio, chi pratica un atto criminale attraverso lo strumento informatico è assimilabile a un terrorista che agisce non tanto su una collettività ma a livello interindividuale. E si differenzia dal terrorismo classico perché non sostenuto da motivazioni ideologico-religiose né tende a destabilizzare sistemi economico-finanziari, rivolgendosi invece a singoli soggetti. Ma la strategia di destrutturazione è sostanzialmente la medesima. Creare incertezza sino a generare in modo manipolativo i presupposti del panico e, infine, del controllo dell’altro.
Bene, con i primi due approfondimenti abbiamo “preparato il terreno” su cui vorremmo introdurre i futuri interventi, la cornice e la tela su cui dipingere il nostro quadro. Sperando anche nella vostra condivisione e del vostro contributo.
Parole chiave: paura, timore, ansia, panico, terrore, breadcrumbing, angoscia.
Approfondimento precedente: Criminalità informatica: l’aspetto vittimologico. Vissuti emotivi e conseguenze sociali.
Riferimenti on line:
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Profilo dell’Autore: Enrico Domenico Chiara è Medico di Medicina Generale, Spec. in Diabetologia e Mal. del Ricambio; Master II livello Bioetica; diploma in “Mediatore Interculturale”, prevenzione e gestione dei conflitti; Tutor e Formatore per l’esame di Stato e la Specialistica in Med. Generale; Consulente Tecnico del Giudice categoria “medici” per Diabetologia e Metabolismo – Clinica medica Generale e della Terapia Medica/Specifica Competenza; Attendance certificate 16a edizione del corso “European Project Plannig”, Grundtvig code IT- 2008-364-003; medico certificatore vittime di maltrattamenti/torture ai fini del riconoscimento della protezione internazionale; già Docente in scienze Criminologiche, Vittimologiche e Victim Support, Master in scienze criminologiche e vittimologiche e victim support (I-V edizione), Associazione Me.Diar.e I.O.V.V. – Città di Torino International Observatory for Victims of Violence, esperto in progettazione area medica.